IL SESSO DEGLI ANGELI
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Don Simone è il parroco della Chiesa degli Angeli a Firenze, popolata quasi solo da donne anziane che recitano il rosario in automatico. È già stato ammonito due volte dalla Curia romana per i suoi metodi poco ortodossi che puntano ad avvicinare la Chiesa ai giovani, ma l’unico ragazzo che ha vicino è Finizio che, insieme al sagrestano Giacinto, gli dà una mano mentre la chiesa cade a pezzi. La fortuna però sembra venire in soccorso a Don Simone: un notaio lo informa di aver ricevuto in eredità da uno zio un immobile di lusso a Lugano e un’attività avviata e redditizia. L’ultima volontà di zio Waldemaro però è che entro sette giorni Simone accetti l’eredità: ma solo dopo essersi recato in Svizzera a fare un sopralluogo.
Leonardo Pieraccioni si cala nei panni del prete Simone che, una volta arrivato a Lugano, scoprirà che l’immobile lasciato dallo zio è in realtà una casa di appuntamenti, e la lucrosa attività che ospita è la prostituzione di un gruppo di bellissime squillo d’alto bordo, capitanate da una tenutaria di nome Lena che ha le gradevoli fattezze di Sabrina Ferilli. Il dilemma è dunque quello fra accettare l’eredità e fare fronte ai problemi economici della Chiesa degli angeli, o rifiutare in nome dell’etica personale e religiosa.
La trama è a dir poco infantile, così come infantili sono le battute che la attraversano (la sceneggiatura è di Filippo Bologna e dello stesso Pieraccioni, anche regista della commedia).
Purtroppo però non si tratta più di quella ingenuità naif che caratterizzava il primo Pieraccioni e il suo amabile personaggio cinematografico di bravo ragazzo alle prese con tentazioni più grandi di lui. Qui si scomoda la vocazione sacerdotale, e un malinteso senso di protezione dell’universo femminile che si rivela molto più moralista che morale.
Il film comincia infatti con una lotta a cuscinate, totalmente scollegata dal resto della storia, fra un uomo e una donna (che ritroveremo più avanti) in cui lui resta in camicia e boxer, mentre lei è seminuda in reggiseno, slip e reggicalze, con frequenti indugi della cinepresa sulle sue grazie. E per tutta la trama il rapporto teoricamente affettuoso fra il prete e le professioniste del bordello di Lugano è impostato su un paternalistico intento di redenzione, che tuttavia non lesina inquadrature dei particolari anatomici delle bellezze in mostra. L’intenzione salvifica è dunque contraddetta dall’esigenza “commerciale” di oggettivizzare i corpi delle attrici che si comportano come oche inconsapevoli, e non è mai contemplato che i loro personaggi svolgano la loro professione per scelta, benché si definiscano “libere professioniste”, partendo dal presupposto che fossero in attesa di un “Salvatore”.
L’unico momento di rifiuto di ogni ipocrisia è offerto da Massimo Ceccherini nei panni di zio Waldemaro, un libertino impenitente che invita continuamente Don Simone a “puppare la pera”, affettuoso (e questo sì genuino) omaggio ad una nota canzone di Francesco Nuti. Per il resto Il sesso degli angeli sembra rimasto congelato in un’epoca lontana della quale conserva molti bacchettonismi inconsapevoli.