VOLARE
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Anna B. è un’attrice con una carriera avviata, un film da girare in Corea e una dannata paura di volare. L’aviofobia, ereditata dal padre come una malattia, ha condizionato la sua vita, la relazione con la figlia che vuole volare a Stanford e con la sua agente che vuole ‘spedirla’ oltre i confini della fiction nazionale. Abortito l’ultimo volo, (si) è costretta a terra e ai piccoli compromessi delle cose terrene. Ma capirà molto presto che giù dallo schermo non ci sono controfigure e qualche volta tocca buttarsi. Decide allora di iscriversi a un corso per aggirare le sue strategie di evitamento. Uno stage antistress per accendere i motori e finalmente decollare.
In ogni film è possibile reperire quella che potremmo definire “la sequenza di DNA”, una successione di informazioni che fa luce su un’opera attraverso le sue fonti d’ispirazione, i suoi modelli.
Quelli di Volare, debutto alla regia di Margherita Buy, affondano nell’immaginario cinematografico di Carlo Verdone (Maledetto il giorno che ti ho incontrato) e di Giuseppe Piccioni (Fuori dal mondo), di Ferzan Özpetek (Le fate ignoranti) e di Nanni Moretti (Mia madre), ma l’evidenza più flagrante è rintracciabile nelle performance di Buy. Una partitura di gesti che la rende in maniera provocatoria più autrice dei suoi film dei suoi autori.
Questa mescolanza di riferimenti è a immagine di una sceneggiatura che identifica il nocciolo indistruttibile di un’attrice che attraversa il cinema italiano come un fiume tranquillo, qualche volta tormentato, a seconda dell’umore.