HOPPER E IL TEMPIO PERDUTO
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Metà lepre metà pollo, Hopper è il figlio adottivo del re Peter e due desideri: essere accettato per ciò che è e soddisfare le aspirazioni paterne. Grande amante dell’avventura, infatti, re Peter ha instillato in Hopper il gene della spericolatezza e quando suo zio Lapin, fratello del padre e suo più grande nemico, fugge dal regno minacciando di distruggerlo, Hopper è il primo a lanciarsi al suo inseguimento. Ad aiutarlo saranno i suoi due migliori amici Abe, tartaruga codarde ma divertentissimo, e Meg, puzzola esperta d’arti marziali, ancora più spericolata di Hopper.
Ben Stassen, coregista con Benjamin Mousquet, è il fondatore della casa di produzione belga nWave, specializzata in animazione in 3D. Con questo suo ultimo film ha trovato l’incontro perfetto fra tecnologia e scrittura, grazie a una storia per famiglie che si avvale di un tratto leggero e avvincente.
Nei film d’animazione destinati al grande pubblico l’originalità sta nei dettagli. A un primo livello, Hopper e il tempio perduto è un classico racconto avventuroso rivolto soprattutto agli spettatori più piccoli, abituati a una narrazione incalzante e a toni sempre più dissacranti (un tempo, per capirci, i personaggi di spalla servivano a creare situazioni buffe e disastrose, oggi invece funzionano come commento interno al racconto, grilli parlanti ironici e distaccati). A un livello più profondo, però, pur mantenendo chiara la sua destinazione, il film belga di coproduzione francese usa una tecnologia di innegabilmente qualità per dare all’animazione una naturalezza più ricercata e credibile, con la tecnologia 3D usata non per creare l’effetto di tridimensionalità ma per rendere più organici gli effetti spettacolari e in qualche modo avvicinare le produzioni americane.
La trama è per stessa ammissione degli autori (tra i quali un fondamentale apporto l’ha dato il produttore Matthieu Zeller) una variazione sul tema dell’eroe dai mille volti, in cui è l’eroe stesso – creato dal fumettista Chrise Grine e noto anche in Italia come “Leprepollo” (a pubblicarlo è la casa editrice Comma22) – a racchiude nel suo strano corpo metà pollo e metà lepre la funzione di mutaforme e a introdurre i temi oggi imprescindibili della diversità e della crisi d’identità. Niente di eccessivamente originale, dunque, né nel personaggio (che è assurdo ma si presta facilmente a una lettura edulcorata) né nell’avventura, che rimanda in modo evidente a Il re leone.
I rimandi all’universo Disney e al cinema hollywoodiano non si fermano certamente alle premesse, dal momento che l’animazione europea è condannata da sempre a inseguire quella americana per necessità e spirito d’emulazione. Gli autori del film citano Miyazaki come fonte d’ispirazione, ma il loro film guarda soprattutto a Sing, a Zootropolis, ai racconti di R. L. Stine declinati in chiave infantile, oltre naturalmente a prendere da Indiana Jones lo stile e il piglio del leprotto coi piedi da pollo.