IL CASTELLO NEL CIELO
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Per sfuggire ai pirati dell’aria la giovane Sheeta cade da un aereo, ma si salva levitando nell’aria e atterrando dolcemente tra le braccia di Pazu, un giovane minatore che decide di prendersi cura di lei. Mentre si susseguono i tentativi di catturare Sheeta e la misteriosa pietra che la ragazza porta al collo, cresce la consapevolezza che Sheeta nasconda dei segreti che vanno ben oltre quel che l’apparenza sembri indicare, legati a una misteriosa città nel cielo, Laputa, di cui si favoleggia l’esistenza.
Per molti versi Il castello nel cielo, meglio noto con il titolo originario di Laputa tra i fan del sensei dell’animazione nipponica, rappresenta l’epitome del Miyazaki-pensiero, oltre che uno dei suoi esiti più ragguardevoli. I temi portanti della poetica del regista sono presenti al gran completo, dall’abnegazione e dedizione al lavoro come passaggio essenziale per la maturazione dell’individuo al sostanziale pessimismo sulla natura umana, vista come inevitabilmente contrastante con le esigenze della natura nel suo complesso; per concludere con l’ossessione per il volo e la libertà insita nell’astrazione dal mondo a bordo di un velivolo, punto d’osservazione privilegiato. Ciò nonostante Laputa rimane un unicum nel corpus miyazakiano, che mai come qui si affida a un vero e proprio action hero, come l’indomito Pazu, alle prese con dei nemici che non sono i consueti spiriti birboni o dei poco di buono un po’ confusi, ma veri e propri villain ad alto livello di pericolosità (e che muoiono, fatto piuttosto raro nella filmografia del sensei). Quasi che Il castello nel cielo costituisse un trait d’union tra gli inizi nella serialità per la Tv – Pazu ricorda le fattezze di Conan e la vicenda presenta alcuni punti di contatto con Lupin III: Il castello di Cagliostro – e l’epopea dello Studio Ghibli.