ZAMORA
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Anni ’60. Walter Vismara è il contabile di una piccola fabbrica di provincia. Trasferitosi per necessità a Milano si trova a lavorare in un’azienda il cui proprietario è fissato con il calcio e tiene tantissimo al fatto che i suoi dipendenti disputino ogni anno una partita. A una delle due squadre che dovranno affrontarsi manca però il portiere e Walter, per assecondare i voleri del boss, finge di esserlo. Dovrà però cercare di trovare una soluzione prima dell’incontro.
Neri Marcoré debutta dietro la macchina da presa con originalità e, al contempo, con una nota personale anche se il film si ispira al romanzo del giornalista sportivo Roberto Perrone scomparso nel 2023.
Perché Walter è quel Neri introverso e un po’ spaesato che lasciò Porto Sant’Elpidio per andare a studiare a Bologna divenendo progressivamente l’attore che tutti conoscono. Qualcuno cioè che scopre aspetti della vita sociale da cui si era tenuto lontano ed è costretto a crescere, magari anche contro voglia.
Partendo però da un appellativo attribuitogli per dileggio: Zamora. Ricardo Zamora Martinez è stato un portiere il cui nome è rimasto nella storia del calcio come quello dei migliori in questo ruolo. Walter, un po’ come il protagonista di Impiegati di Pupi Avati, arriva nella grande città sapendo molte cose in teoria (risponde a tutte le domande di Mike Bongiorno) ma difettando nel rapporto con la realtà.
Marcoré si rispecchia in Walter ma, per ragioni anagrafiche, si cuce addosso il personaggio dell’ex portiere Cavazzoni. Costui, uscito dal mondo del professionismo in seguito ad uno scandalo, più che vivere si lascia vivere trovando però una ragione di riscatto nell’allenare segretamente Walter cercando di prepararlo nel modo più adeguato possibile all’incontro che lo attende. Due personalità che affrontano i propri disagi finendo con il divenire l’uno il sostegno dell’altro. Una volta tanto anche il versante romantico viene trattato con la dovuta misura e deprivato dei luoghi comuni che spesso il cinema ci propone (e propina).