DELICATESSEN
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In una Francia di un futuro distopico e indefinito, Clapet fa il macellaio e vive con la figlia nell’appartamento sopra al negozio. Suoi clienti sono i vari inquilini del palazzo, ghiotti di una carne che però è umana e viene dai malcapitati tenuti prigionieri da Clapet. L’ultimo arrivato è il clown Louison, che inizia a lavorare per il condominio in cambio di vitto e alloggio senza sapere del pericolo in cui si è cacciato. Quando Louison si invaghisce di Julie, figlia di Clapet, le tensioni dei vegetariani provenienti dal sottosuolo giungono a un punto di rottura.
Tra i film che più chiaramente annunciarono la cifra stilistica del cinema Anni Novanta, Delicatessen si conserva come una visione ricca di spunti anche a decenni di distanza.
Questo curioso – e formalmente estremo – spezzatino di black comedy, distopia futuristica e horror corporeo porta il regista francese Jean-Pierre Jeunet alla ribalta con un esordio folgorante, parecchi anni prima che Il favoloso mondo di Amelie ne consolidasse l’apprezzamento del pubblico più mainstream.
Ma se ad Amelie Jeunet arriva da solo, la carica sovversiva di Delicatessen si deve in gran parte al sodalizio con Marc Caro che segnò gli inizi della sua carriera. È Caro a immaginare la plasticità vignettistica di un’opera che dialoga con Brazil di Terry Gilliam, svecchia il cinema francese assieme al compare ipercinetico Luc Besson, e rivaleggia a livello internazionale con le sperimentazioni dei Coen e dei “pubblicitari” Fincher e Scott.